Stiamo vivendo uno strano periodo, abbiamo appena trascorso uno strano Natale, tutto sembra proseguire con una certa fluidità e “normalità”, ma la maggior parte delle persone con cui parlo utilizza a gran voce due termini: “Strano”, “Diverso”. Allora mi chiedo: “quanto è importante per noi esseri umani non essere strani/diversi?”.
Spesso interpretiamo negativamente ciò che è strano, associandolo alla “pazzia” o alla “devianza”, solo quando la stravaganza si colora d’arte l’accogliamo positivamente: “Non ci fu mai grande ingegno senza un pizzico di follia” (Aristotele).
Questo atteggiamento non fa altro che ricondurci ad uno stato di vergogna, per cui è meglio nascondere a sé stessi e al mondo che ci circonda quel vissuto strano o folle, covando rabbia e/o invidia per come “dovremmo/vorremmo essere”. Un modo ancora più diffuso è quello di far emergere non lo stato di vergogna, ma piuttosto la tristezza: mi pongo come deficitario nel confronto
Entrambi gli atteggiamenti ledono l’energia della persona, incidono in maniera negativa sullo slancio vitale.
Ne consegue che non sento la forza, non ho più la voglia, non provo piacere in nessun ambito, o in conformità con il mio stato sui social, costruisco uno stato virtuale che mi permette di uniformarmi agli occhi degli altri, ma che spesso non mi allontana minimamente da dove sono adesso o meglio non mi avvicina a quello che realmente sono adesso.
Da questa breve riflessione, fatta in questo strano periodo, ho deciso di soffermarmi sull’atteggiamento che assumiamo verso le nostre bizzarrie.
Cosa cerco di nascondere quando chiudo la porta di casa mia? Quando mi trucco? O semplicemente quando apro il mio armadio? Spesso il semplice guardarci allo specchio prima di uscire di casa inconsciamente nasconde (persino a noi stessi) qualcosa…ma è pur sempre qualcosa che ci appartiene! Sono convinta, per esperienza e per formazione professionale, che la consapevolezza è la chiave della nostra libertà di scelta. È fondamentale essere consapevoli di ciò che sentiamo e di ciò che vogliamo, da qui ogni nostra scelta potrà essere considerata libera.
La Vergogna allo Specchio
Ritornando alla vergogna, possiamo rintracciare al suo interno il famoso senso di inadeguatezza (di solito ci fermiamo qui), ma la vergogna ci dice anche “cosa desideriamo realmente”.
Attraverso la vergogna c’è infatti la possibilità di vedere sé stessi ed il mondo attraverso gli occhi degli altri, ma ricordiamoci di ritornare nei nostri occhi per capire anche come vediamo noi le cose!
Eziologicamente, le prime esperienze che inducono alla vergogna risalgono alla relazione genitore-bambino, prima dello sviluppo del linguaggio. Per questo motivo le esperienze di vergogna risiedono al centro del sé e sono inaccessibili alle descrizioni verbali: non ci sono parole per far parlare la vergogna! Allora è necessario usare uno specchio!
A cosa serve la Vergogna?
Il processo di crescita ci aiuta ad andare al di là della vergogna e a muoverci verso un’identità auto-affermata. La vergogna risulta da un processo cognitivo di valutazione di azioni, pensieri e sentimenti che porta a un’attribuzione cognitiva del tipo “Giusto/Sbagliato-Buono/Cattivo” (un giudizio). La successiva negazione narcisistica della vergogna avviene tramite lo spostamento dell’attenzione su un aspetto o un comportamento del sé: questo ci tutela nella nostra interezza, ma non ci porta all’integrazione dei vari aspetti che ci caratterizzano. Spesso, alcuni aspetti di noi, che io chiamo “aspetti feriti”, si trovano in uno stato di perenne nascondimento e con il tempo verranno sotterrati…il risultato è lo stesso dello struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia. Da qui inizia un circolo vizioso: sul palcoscenico si presentano emozioni dolorose (rabbia/tristezza), ma socialmente e narcisisticamente più accettabili.
Il Mito allo Specchio
Mettiamoci per un istante di fronte a uno specchio e, oltre a guardare la nostra immagine, ascoltiamo quello che emerge in noi. Modi diversi di presentarci davanti lo specchio producono atteggiamenti molto diversi, che a loro volta producono un epilogo caratteristico. Mi servirò di due diversi miti “allo specchio” per essere più chiara.
Il primo, sicuramente il più famoso e inflazionato, è il mito di Narciso:
“Narciso, a cui era stato vietato di guardarsi allo specchio, mentre era nel bosco, s’imbatté in una pozza profonda e si accucciò su di essa per bere. Non appena vide per la prima volta nella sua vita la sua immagine riflessa, s’innamorò perdutamente. Solo dopo un po’ si accorse che quell’immagine riflessa apparteneva a lui e, comprendendo che non avrebbe mai potuto ottenere quell’amore, si lasciò morire struggendosi inutilmente”; si compiva così la profezia di Tiresia.
“Iste ego sum, nec me mea fallit imago!”
“Questi sono io, né la mia immagine mi inganna!”
Il riconoscimento, cosi come predetto da Tiresia, è la premessa per la morte.
Narciso si riconosce nel proprio statuto di realtà che di per sé è intrinsecamente difettoso, limitato e contingente? Oppure scopre che non c’è nulla di altro o di grandioso a parte quello che emerge da quell’immagine?
Questo riconoscimento, la conoscenza di sé come mero riflesso di nessuna altra realtà, è il preludio della sua morte metaforica: “com’è possibile che sia stato amato se sono solo questo?”
Nel secondo mito, quello di Krishna, l’atteggiamento del personaggio è molto diverso:
“Krishna, durante il suo esilio iniziò a giocare con gli altri fanciulli, imitava i suoni della natura e il volo degli uccelli; si tuffava nell’acqua come una rana e vedendo la propria immagine riflessa, egli rideva”.
Mentre percepiva sé stesso, Krishna realizzava anche la gioiosa libertà del proprio destino; proprio egli che non si era mai sentito amato, cambiava prospettiva, si assumeva la sua responsabilità di adulto e così si apriva al mondo istintivo e alla sua vitalità.
Come guardarsi allo specchio?
“Gioco, Attenzione e Affetto” sono le chiavi necessarie per guardarsi allo specchio e per rafforzare la nostra volontà di guarigione non solo verso noi stessi, ma anche verso l’ambiente.
È bene sottolineare che nel mito di Narciso non c’è nessuna libertà di scelta, Narciso non doveva vedere sé stesso per sopravvivere nel suo ideale di bellezza, così come era stato stabilito per lui da “Altri” che, a loro volta, non erano riusciti a guardare con amore sé stessi o non erano mai stati guardati con amore.
Nel mito di Krishna c’è la sofferenza iniziale nel compiere il primo passo e staccarsi da quanto stabilito come “adeguato” e la scelta di seguire la propria natura nel rispetto di sé stesso e del mondo.
La difficoltà sta sempre nel fare il primo passo, di solito è un passo solitario e doloroso perché ci porta in una zona sconosciuta, ci pone nel vuoto. Dopo poco tempo da questo vuoto acquisiamo la forza e la capacità creativa, che in quanto tale è solo nostra, quindi non soggetta a interferenze esterne (Autostima).
Come fare per riuscire a compiere questo primo passo?
La domanda è alquanto banale se posta ad un bambino, in fondo Krishna è un fanciullo! Noi adulti tendiamo a eliminare la banalità, perché pensiamo che questa cozzi con il nostro essere profondi…quindi che ci renda meno interessanti. Proprio per questo ho deciso di utilizzare una favola saggia:
“C’era una volta una gara di ranocchi. L’obiettivo era arrivare in cima a una montagna. Per vedere la scalata si radunarono in molti anche se probabilmente non credevano possibile che i ranocchi raggiungessero la cima, e tutto quello che si ascoltava erano frasi tipo: “Che pena!!! Non ce la faranno mai!”. Alla fine, tutti desistettero tranne quel ranocchio che, solo e con grande sforzo, raggiunse la cima. Uno degli altri ranocchi gli si avvicinò per chiedergli come avesse fatto a concludere la prova ma scoprì che quel ranocchio era sordo”.
“Per realizzare noi stessi è necessario diventare sordi!”
Vorrei concludere con un piccolo rimedio: L’ironia e il piacere di giocare con noi stessi.
“Guardiamoci allo specchio con umiltà e ironia, ritroviamo la nostra diversità divertendoci”.
Come ha scritto De André:
“Ama e ridi se amor risponde
Piangi forte se non ti sente
Dai diamanti non nasce niente
Dal letame nascono i fior”.
Riferimenti
ü De Falco A., Princivalle M. (12/05/2020) Favole sagge: Il re e l’arciere & Il ranocchio sordo, Portale Bambini.
ü Eneida Topi (2009) L’amore di Narciso e altri racconti… Il libro dell’archetipo dedicato ai genitori e ai ragazzi, collana Fuori, il Sirente, Fagnano Alto
ü Lowen A. (1984) Il Piacere. Un approccio creativo alla vita, Roma, Astrolabio-Ubaldini Ed.
ü Schellenbaum P. (2012) La Ferita dei non amati, Milano, Edizioni Red.